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il 2012 di Angelo Moretti

Che anno sarà il 2012? Il sondaggio Sky alle 14.00 di oggi dava al 64% la seguente risposta: “peggiore”.

Perchè ci aspettiamo il peggio? Mi vengono in mente diverse risposte.
 
La prima, forse condizionata dall’essere meridionale, è legata alla scaramanzia di chi evita di pensare al meglio per paura che il solo pensarlo possa farlo svanire. Sembra un archetipo, un’idea ancestrale legata al concetto del sogno, che se lo racconti poi non si avvera. Per cui i sogni vanno tenuti segreti, se non si avverano lo sapremo solo noi, se si avverano ben venga. Noi non ci siamo esposti. Ma se non si avvera dopo che l’ho raccontato mi sento in parte responsabile di aver creato e creduto ad un’illusione che è svanita quando l’ho detta ad altri.
 
La seconda è legata più ad un’immagine collettiva, contingente ma molto stringente e pregnante per noi tutti: la crisi. Il 2012 non può andare bene perchè siamo in crisi. La crisi è disegnata per noi dai telegiornali come un grafico cartesiano con una discesa a picco. Verso cosa? In cosa siamo in crisi? Io, e penso tutti voi, non possediamo nè azioni nè titoli  (qualcuno avrà solo le azioni di Banca Etica). Cosa stiamo perdendo in questa crisi? E come ne siamo corresponsabili se non abbiamo mai giocato in borsa! Perchè impegnarci ad uscircene se non ci siamo mai entrati? Noi non l’abbiamo certo provocata. Eppure ne siamo coinvolti fino ai capelli quando le politiche sociali smettono di essere finanziate, inseguendo chissà quale teoria di programmazione territoriale ( siamo la società globale che da i Nobel dell’economia a Sen e Stiglitz e poi programma la politica di un territorio ispirandosi a Marchionne e co.); ne siamo coinvolti perchè non riusciamo a creare nuove aziende che possano assumere i lavoratori licenziati  in quei pochi stabilimenti che circondano Benevento; perchè scegliere l’agricoltura sociale e la filiera corta è oggi una sfida ad un contesto economico basato sulla vendita di mele provenienti dal Trentino e pomodori importati dalla Tunisia o dalla Grecia.Il 2012 sarà peggiore per molti, perchè c’è la crisi. Ed allora la vera crisi non è economica ma della speranza. Pensare che andrà peggio sembra quasi un atteggiamento doveroso per essere realisti, dire che andrà megio ci farebbe sentire come quei personaggi che cercano di nasconderla per continuare in uno stile di vita che genera la crisi stessa. Ma essere solo realisti non ci impegna a sperare, a sfidare i nostri contesti territoriali per provare a cambiarli. La crisi è innegabile, la speranza come tensione dell’anima dovrebbe allora essere immancabile per chi si ostina a lavorare e ad impegnarsi nel sociale. Un testo che certamente andrebbe riletto in questi anni è “Furore” di Steinbeck. L’epopea di una famiglia americana nel disperato tentativo di evitare le conseguenze della crisi del ’29. Ma alla fine solo la relazione la salva, solo i beni relazionali salvano la vita alla comunità, mentre la crisi accompagna tutte le scene del racconto, fino alla fine.
 
Un’ultima risposta che mi viene in mente, come una suggestione, è che sia più semplice dire che l’anno che verrà sarà peggiore di quello che sta per finire. Pensare che sarà peggiore non mi impegna a migliorarlo. Dire che l’anno che verrà sarà migliore di questo, significa doversi inventare qualcosa di nuovo. Così come stanno le cose non possiamo dire che la società andrà per il meglio, per cui affermare che le cose miglioreranno nasconde, implicito, un mio impegno affinchè cio avvenga (potremo rivedere per il prossimo anno tutta la psicologia del positivo di Seligman). 
Ed allora ad un sondaggio che vedo come lontano e che non mi coinvolge davvero in un dialogo sul futuro, dirò semplicemente ciò che è già scontato: l’anno 2012 sarà peggiore del 2011.
 
Visto che non ci intervisteranno per sapere la nostra, dobbiamo reagire. Questa notte diciamo a tutti “buon anno”! Non perchè è educato, ma perchè ci impegniamo a renderlo migliore nonostante tutto. Perchè scegliamo uno stile di vita e non un altro, perchè mi impegno con tutto me stesso a non fregarti in borsa, a non fregarti al lavoro comprando beni di consumo che non ti pagano della tua opera, che non ti frego l’aria che respiri perchè mi impegno a inquinarla di meno da questa notte, che non ti rubo l’acqua perchè non la compro, ma utilizzo quella del nostro acquedotto, che non ti frego il lavoro con due lavori, che non ti lascio solo. Diciamo buon anno! Perchè mi impegno ad amarti con tutto me stesso, sarò un bene relazionale per te, che andrà sopra ogni crisi, sarò nutrimento per te se dovessi restare senza cibo.
Prendiamoci la responsabilità di sognare ad occhi aperti e di dire a tutti i nostri sogni, perchè diventino programmi di corresponsabilità.
Buon anno! Perchè nel 2012 ci sarò con tutto me stesso e ci saremo insieme!
 

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Posso parlare di me solo attraverso le persone che ho incontrato. Perché chi sono oggi lo devo a loro.

Posso parlare di me solo attraverso le persone che ho incontrato. Perché chi sono oggi lo devo a loro.  E sono tante. Ovviamente si parte dall’insieme dei miei genitori (attenzione sono due, ma è nell’ “insieme” che sono stati unici!), che mi hanno fornito di  bagagli validi per tutto il viaggio: amore smisurato, incondizionato, fiducia, apertura al mondo e tre sorelle eccezionali, socie con me nell’esperienza di quell’amore unico ricevuto fin dall’infanzia. Un po’ più su, c’è un nonno-eroe, nella mia adolescenza, l’incarnazione di un’epopea manzoniana, dove la Provvidenza divina agiva di pari passo con le scelte umane, nonno Michele, dodici figli a carico, una passione per tutto ciò che per lui era arte, per sua moglie, per le sue rose del giardino, come per la sua vecchia Audi, la sua casa a Raino, Itri, magica come un castello delle favole, e le sue risate di gioia per tutto ciò che era vita, il suo ribrezzo per tutto ciò che era menzogna. Quando se ne è andato, a novantadue anni, sembrava avere ancora molti sogni nel cassetto, come un giovane all’università.

In parrocchia, mi assegnarono il mio primo maestro di vita, Mauro. Un ragazzo come me, ma, sofferente di leucemia, costretto a letto da oltre un anno.

A quindici anni ero pronto, volevo investire quel capitale in qualcosa, meglio in qualcuno. Non volevo avere quella fortune solo per me troppo a lungo, della mia fede mi bastava quel comandamento: ama il prossimo tuo come te stesso. Solo dopo ho scoperto la bellezza umana di come te stesso. In parrocchia, mi assegnarono il mio primo maestro di vita, Mauro. Un ragazzo come me, ma, sofferente di leucemia, costretto a letto da oltre un anno. Bisognava ripetere con lui il greco del quarto ginnasio. Ma Mauro voleva fare altro: camminare, correre, giocare a pallone, ma era lì paziente a sopportare un ragazzo che gli ripeteva il greco, come un saggio che ascolta il discepolo e pensa oltre. La sua morte mi aprì gli occhi: era stato lui, tutti i pomeriggi, a spegnere la televisione per sorbirsi la mia amicizia.

L’Albania mi presentò il mio carisma, quello di San Vincenzo de’Paoli, e ci diede l’idea di creare un gruppo di volontari a Benevento.

Nel 1996 sbarco a Durazzo, per un altro incontro che mi avrebbe cambiato la vita: l’Albania. Un nome su tutti: Fatyon, mi insegnò la tenerezza. Un bambino di scarsi tre anni, portato nell’arena dei bambini di Masterko. Sporco dal naso ai denti, con grande distrazione, nella confusione più totale mi inginocchio per dargli un pennarello, lui mi fissa con due fanali azzurri, allarga il sorriso e mi fa una carezza che dentro di me dura ancora. Non riuscii più a rialzarmi, restai a fissarlo penso un quindici minuti. Portato dalla violenza in mezzo al gruppo dei volontari, era il più grande dei volontari mai conosciuti. Poi, un altro bambino, di cui ancora non conosco il nome, mi fece una lezione di quasi un’ora sulla comunicazione non verbale. Aveva sei anni, credo, non esita un attimo, sebbene fosse la prima volta che l’incontravo: inizia un racconto infinito in Albanese, una lingua così difficile che nonostante sia ritornato otto volte, non l’ho ancora imparata, che riguardava una sua cicatrice sulla testa, e mentre parlava rideva, fingeva di tuffarsi nel fiume, indicava. Tutto come se io capissi perfettamente quello che diceva, poi capii: non serviva che capissi, ma che lo ascoltassi. L’Albania mi presentò il mio carisma, quello di San Vincenzo de’Paoli, e ci diede l’idea di creare un gruppo di volontari a Benevento. Poi vennero e sono tuttora presenti nella mia vita una serie infinita di altri maestri. Uno di questi mi diede, tra l’altro, l’idea di mettere su il centro “è più bello insieme”, nel 2001. Mi sono laureato in giurisprudenza nello stesso 2001, nel 2005 una madre in Albania mi suggerii l’idea  di iscrivermi in Psicologia, l’ho fatto.

Progettista sociale, come un “agitatore sociale”, solo che si fa con calma e per progetti

Il mio mestiere di oggi mi piace, si chiama “progettista sociale”, è nuovo e man mano che vado avanti prende forma e significato. È come un “agitatore sociale”, solo che si fa con calma e per progetti. Sono convinto che, se le comunità dessero importanza alla costruzione delle infrastrutture relazionali come la si da a oggi a quelle materiali, davvero il nostro sviluppo sarebbe eco, equo e solidale. Le politiche sociali migliori, a mio parere, sono quelle che partono dal basso, che non progettano la città e lasciano un bagno per i disabili, metafora dell’attenzione spesso rivolta alle persone con disagio, ma partono dall’inclusione sociale delle persone fragili per mettere in gioco tutti. Non sono il resto della torta, ma gli ingredienti stessi. Con il centro è più bello insieme, sperimentiamo ogni giorno questo tentativo di nuovo sviluppo della società, liberando i ragazzi dagli angoli in cui sono stati messi, usando il centro come trampolino verso l’integrazione vera e propria, sul territorio, dove quelli che da noi sono utenti tornano ad essere risorsa della società. Per il loro carico di umanità e sensibilità, spesso merce rarissima.

Spero sempre che un incontro, un libro, un film, un quadro, mi aprano ad una nuova crisi.

Quanto alla mia vita privata, io e mia moglie ci troviamo dopo sei anni di matrimonio ad attendere Sara Oliva, la nostra settima figlia… Il mio unico hobby è organizzare viaggi con la mia famiglia. In questi stessi anni di matrimonio, grazie ad un’organizzazione spartana, abbiamo visto oltre dieci città europee, passeggiando in lungo e largo, visitando musei, respirando culture diverse, anche solo per tre giorni. È un’esperienza arricchente, perché Van Gogh a Roma non è lo stesso che vedi nel chiaroscuro di Amsterdam o sul lungo Senna del quay d’Orsay. In quei posti, i quadri respirano la stessa aria che respiri tu quando sei fuori dal museo, ed il museo non è altro che la stazione di servizio ove appendere quell’emozione. La lettura, invece, è una mia necessità. Tra gli incontri che mi hanno cambiato, ci sono decine e decine di libri. Leggo per rabbia, per protesta, per amore verso un personaggio (il mio genere preferito sono le biografie), per capire e capirmi, per guardare con occhi nuovi. Spero sempre che un incontro, un libro, un film, un quadro, mi aprano ad una nuova crisi. Credo fortemente. Non solo in Dio, ma anche in tutto ciò che Egli ha creato, in cui vive la speranza.

Angelo Moretti (da bmagazine del febbraio 2009)

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